MATERIALI PER L’ORIENTAMENTO STORICO RELATIVI ALLA REGIONE VENETIA ET HISTRIA A PARTIRE DAGLI ANNI 360 d.C. FINO ALLA FINE FORMALE (476 d.C.) DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE.
381: Oltre ai barbari anche la Chiesa è un problema per Teodosio...
Nel gennaio si rifugiano nella zona di Costantinopoli alcune tribù di Visigoti guidati dal loro vecchio re Atanarico (vedi gli anni 365-375). Grandi sono le accoglienze organizzate dal governo orientale all’evidente scopo politico di contenere i Goti avversari che fremono alle frontiere. Atanarico muore pochi mesi dopo e i suoi solenni funerali impressionano favorevolmente i contemporanei contribuendo alla riuscita dell’operazione politica, che ha un doppio aspetto, ottenere fra i Goti aiuto militare e allo stesso tempo minare il consenso di cui gode il gruppo di potere riunito attorno al principale e più pericoloso capo, Fritigerno. I seguaci di Atanarico vengono inquadrati tra le truppe romane come auxilia.
Nel mese di marzo l’imperatore Graziano si trasferisce con la corte a Milano. In questo periodo si incontra molte volte con il vescovo Ambrogio. La chiesa milanese prepara con cura l’appuntamento del concilio di Aquileia, importante per poter fare i conti con l’arianesimo. Al Concilio di Aquileia, infatti, Ambrogio, rinfrancato dall’appoggio imperiale di Graziano, si sente abbastanza forte per deporre d’autorità tutti i vescovi ariani (sostenuto in ciò dal voto dei vescovi della Lombardia). Dopo questi fatti nella cristianità d’Occidente la chiesa di Milano viene a rivestire un grandissimo prestigio che in parte oscura quello di Roma e del Papa Damaso.
Gravissimi incidenti avvengono a Filadelfia in Lydia tra truppe romane d’Egitto in trasferimento e truppe barbare che dovevano raggiungere i luoghi loro assegnati. (vedi Zosimo pagg.225-226). È la dimostrazione che l’arruolamento di truppe barbare poneva seri problemi di ordine pubblico nonostante la decisione dimostrata da Teodosio per risolvere la questione dell’arruolamento e del potenziamento dell’esercito dopo la crisi successiva alla disfatta di Adrianopoli. Le reclute che si amputavano il pollice non venivano più bruciate vive, come sotto Graziano, ma venivano arruolate. Solo che, al posto di una recluta, coloro che offrivano uomini all’esercito dovevano consegnarne due.
Nei primi mesi dell’anno, a Costantinopoli, Teodosio convoca per un sinodo (da tenersi in maggio) i vescovi della parte orientale dell’impero. Il vescovo Acolio di Tessalonica informa il papa Damaso di Roma. Nei primi giorni del concilio muore il vescovo Melezio, presidente della sessione. Gli succede il vescovo di Costantinopoli Gregorio di Nazianzo. Il sinodo si chiude con la rottura del gruppo di Eleusio di Cizico (non riconosce la divinità dello Spirito Santo). A parte i canoni che riguardano l’organizzazione della Chiesa nella parte orientale dell’impero è il canone 3 il più significativo perché carico di conseguenze politiche di primissimo piano. Il vescovo di Costantinopoli avrà il primato di onore subito dopo il vescovo di Roma, perché la città sul Bosforo è la nuova Roma (H.Jedin, Storia della Chiesa, vol.II, Milano 1975, pp.80 -81). Le sedi vescovili di Antiochia e di Alessandria perdono influenza.
Teodosio, dopo i risultati del sinodo di Costantinopoli, il 30 luglio ordina l’immediata consegna di tutte le chiese ai vescovi che riconoscono che Padre, Figlio e Spirito Santo sono di un’unica maestà e potenza, di medesimo onore, e che ciascuno è Signore (H.Jedin, op.cit., p.80).
- Graziano il 27 marzo concede, sulle orme di suo padre Valentiniano, una amnistia generale.
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Teodosio, costretto alla penitenza da Ambrogio deve umiliarsi ...
Il 3 ottobre si ha la firma del trattato di pace con i Visigoti (negoziatore della pace fu Saturnino, magister militum orientale). Per la prima volta ad un popolo barbaro viene consentito di installarsi nei territori dell’impero con una propria struttura politica e militare. Fino ad allora i barbari erano stati arruolati nell’esercito ma sempre guidati da ufficiali romani, con disciplina romana, e come laeti avevano lavorato la terra soggetti ai proprietari terrieri e alla struttura amministrativa delle prefetture. Ora invece con questo foedus un popolo si amministra da sé dentro i confini imperiali.
I punti dell’accordo in sintesi possono essere così ricostruiti: i Goti ottengono terre a nord delle diocesi della Tracia e della Dacia, Mesia Inferiore, Scizia Minore (tra il Danubio e i Balcani); godono di notevole autonomia pur restando il territorio soggetto alla sovranità formale romana; sono esenti dalle imposte; ricevono un sussidio annuale; diventano membri dell’impero senza ottenere il connubium; forniscono truppe all’impero; in guerra si devono considerare al servizio dell’impero ma obbediscono agli ordini dei loro capi, pur dovendo questi senz’altro a loro volta ubbidire al supremo comando dell’esercito regolare romano.
La conversione in massa del popolo goto al cristianesimo (dopo questa data causata da una rapida romanizzazione entro l’impero, così il Thompson) è un fenomeno sociale e politico. Nel corso dell’anno muore il vescovo Ulfila, il grande artefice di questa opera di apostolato cristiano (ariano). I suoi funerali sono un evento, per la considerazione ed il rispetto sacrale tenuto dalla minoranza ariana e gota. La fede gotica diventa il mezzo per il mantenimento dell’identità etnica. Tutto ciò accade all’interno di un impero che diventa sempre più radicalmente cattolico.
In Italia Ambrogio impone all’imperatore Teodosio la penitenza ma non si accorge di ciò che sta accadendo nell’impero. I barbari per lui non esistono. O se esistono sono esseri inferiori. Ambrogio vede nel biblico Gog venuto dal settentrione spinto da malvage intenzioni i Goti: “Gog iste Gothus est, quem iam videmus exisse”. Ambrogio istituì una tripartizione degli esseri: gentes, barbari e i caeteri animantes. Lascia intendere che considerasse i barbari esseri ferini.
- Per effetto degli incontri con Ambrogio (e della dialettica molto convincente del vescovo milanese) Graziano emana una serie di editti che ridimensionano grandemente il paganesimo: viene soppresso il titolo di pontefice massimo all’imperatore, vengono aboliti i collegi sacerdotali pagani di Roma (i cui beni sono confiscati), viene rimosso l’altare della Vittoria dalla sua sede nel Senato di Roma.
- Il papa Damaso sostiene gli editti per il favore accordato alla nuova religione cristiana. Ma Graziano a lungo andare scontenta un po’ tutti: legifera in materia religiosa concedendo libertà a tutti i culti ma non concede i mezzi necessari per l’affermazione completa della nuova religione. È vero che si adopera per limitare l’influenza del paganesimo (vedi gli editti dell’autunno) e allo stesso tempo cerca di impedire i fenomeni di apostasia nell’ambiente cristiano, ma la sua condotta oscillatoria è in baIìa dei circoli politici.
Un esempio ce lo offre l’onnipresente Ambrogio, che riesce a impedire a Graziano di ricevere la commissione senatoria di Roma, guidata dal Prefetto di Roma, il pagano Simmaco, incaricato di far restituire al suo posto la statua e l’Ara della Vittoria, simbolo ed emblema del passato e della tradizione pagana.
- Anche l’Africa deve familiarizzare con la carestia. Fra i senatori crescono i timori per l’approvvigionamento di Roma e per la riscossione delle rendite.
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Teodosio gioca su più tavoli una partita pesante avente come fine l’unità dell’impero sotto la dinastia ...infatti il 16 gennaio Teodosio nomina augusto in Costantinopoli il figlio Arcadio.
Agli inizi dell’anno Graziano guida le operazioni militari in Raetia contro tribù alamanne. In primavera restituisce agli eretici prisciIlianisti le chiese loro confiscate in Spagna e nella Gallia del sud. Nello stesso periodo si apre un’altra grave crisi: lo spagnolo Magno Massimo, parente alla lontana di Teodosio e suo antico compagno d’armi, viene proclamato augusto dalle truppe della Britannia con le quali aveva appena sconfitto i Pitti e gli Scoti. Il pronunciamento militare e l’usurpazione trovano il terreno fertile nella delusione e nella rabbia dovute all’abbandono imperiale della sede di Treviri per la più comoda e protetta sede di Milano. In Gallia molti funzionari romani si sentono traditi e questo sentimento favorisce il colpo di mano degli avventurieri come Massimo. Questi, infatti, rappresenta la fazione nazionalista romana che si oppone all’inserimento nelle alte sfere dello stato degli elementi barbarici.
Massimo scende in Gallia e rapidamente conquista il favore di molti reggimenti romani. Accade pure che le truppe legittimiste stiano ferme per cinque giorni davanti allo schieramento dell’esercito di Massimo, senza compiere alcuna manovra offensiva. E che il magister militum Merobaude, il vero regista della politica filobarbarica, che dovrebbe opporsi (per logica e per provenienza etnica) al nazionalista romano Massimo, guidi invece le forze ostili a Graziano.
Probabilmente il passaggio di campo di Merobaude è dovuto ad esigenze di carattere difensivo. A Lutetia (Parigi) l’imperatore Graziano (ha solo venticinque anni) non sa che fare. Quasi tutti lo abbandonano. Non gli resta che la fuga: con pochi soldati a cavallo di scorta decide di raggiungere l’Italia. Ma viene intercettato a Lugdunum (Lione) e catturato dal magister equitum (di Massimo) Andragazio. Dopo una breve prigionia viene assassinato il 25 agosto.
In Italia, a Mediolanum (Milano), la notizia giunge quasi subito: l’imperatrice madre Giustina, che deve reggere il peso dello Stato (dato che l’imperatore Valentiniano II è un fanciullo) non apprezza di essere messa sotto tutela da Teodosio o da Massimo, e cerca di reagire: affida la carica di magister militum al franco, e pagano, Bautone. L’ufficiale, in pratica, diventa il governatore dello Stato e il tutore delle forze armate dell’Italia del nord. Truppe vengono inviate ai valichi alpini per controllare i movimenti dei barbari (gli Iutungi alleati di Massimo) favorendo incursioni nei territori ora sotto il controllo dell’usurpatore.
In questa fase succede l’incredibile: il governo di Ravenna istiga gli Unni e gli Alani ad attaccare gli Iutungi in Gallia. Ma, dietro le proteste dell’usurpatore, tale politica viene abbandonata (le forze dei due schieramenti contrapposti sono pur sempre romane!) e i barbari alleati di Ravenna, pagati profumatamente, vengono fatti ritirare.
Le navi granarie africane dirette a Roma vengono dirottate verso altri porti in attesa che la situazione si chiarisca. Teodosio, che governa l’Oriente, adotta invece una tattica temporeggiatrice, cerca di far conservare al governo d’Occidente (il cui augusto è ora il fratello di Graziano, il fanciullo Valentiniano II) il controllo dell’Italia, dell’Africa e dell’Illirico. Britannia e Gallia per il momento possono aspettare.
Probabilmente Teodosio, che conosce Massimo, è in un primo tempo tentato dalla sollevazione antidinastica ma si muove con molta prudenza. Alle trattative diplomatiche con l’usurpatore partecipa anche il vescovo Ambrogio. A Milano infatti ci si preoccupa per la situazione, sia per quanto riguarda la continuità della sede del governo (il rischio è che la sede imperiale venga trasferita a Costantinopoli o a Treviri, a seconda di quale dei due litiganti più forti prevalga), sia per le iniziative dell’usurpatore. Lo stesso Bautone, attraverso lo Spluga, si dirige a Treviri, per ottenere da Massimo la rinuncia all’invasione dell’Italia.
Ognuno dei tre pretendenti doveva restare fermo sul posto, nei territori che controllava. Questo il succo della trattativa. Anche Ambrogio per lo stesso scopo si mette in movimento e raggiunge Magonza ove ha un colloquio con una ambasceria di Massimo guidata dal figlio Vittore. L’usurpatore, tramite Vittore, che raggiunge poi Milano, propone alla reggente Giustina di inviare Valentiniano II a Treviri sotto la sua protezione. Ma Giustina rifiuta di affidare il figlio a mani ignote e politicamente pericolose. Con la scusa dell’inverno lo stesso Ambrogio ripete a Massimo che la cosa deve essere differita. Almeno fino a primavera.
In Gallia Massimo, d’altro canto, proprio in questo momento sta giocando la carta dell’immagine di principe cristianissimo e ortodosso. A riprova di ciò, sotto il suo regno, si scatena una dura repressione del movimento priscillianista. La carestia, dovuta ad una siccità eccezionale e ad una piena insufficiente del Nilo in Egitto coinvolge ormai quasi tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Simmaco ricorda che la plebe ha dovuto cibarsi di ghiande e radici. Ambrogio ammette la carestia per l’Egitto ma dissente per quanto riguarda le province transalpine, Gallia, Pannonia e Rethia Secunda.